I pedagogisti dell’antichità e dei tempi moderni si sono dati non poca pena per venire a una definizione esauriente e convincente di ciò che va inteso per cultura o formazione spirituale. Non è compito di questo sito, nato per convincere ad abbracciare la cultura, aggiungere un nuovo contributo a questi tentativi: qui su Abbracciamo la Cultura vogliamo limitarci a indicare, mediante una delimitazione, ciò che si richiede da una persona a che le si possa applicare l’attributo di “colta”. A tale riguardo occorre anzitutto intendersi, per veder chiaro quale è il dominio sui cui verteranno le considerazioni che intendiamo svolgere.
Cosa intendiamo per persona colta
Quando col dire che una persona è colta, vogliamo attribuirle qualcosa di più di quanto si riferisce al certificato di certi studi da essa compiuti, pensiamo per lo meno che essa nel complesso della sua esistenza sia riuscita a creare un certo ordine delle sue doti, delle sue possibilità. dei suoi impulsi e delle sue attività, ordine che stabilisce fra loro una giusta relazione e che previene sia l’eccessiva accentuazione che il soffocamento di ognuno di tali elementi. Ma l’uomo non potrà mai crearsi un ordine prima di aver regolato adeguatamente le sue relazioni col mondo. Considerando l’una cosa insieme all’altra, possiamo definire come cultura quella conformazione dell’uomo che lo pone in condizione di mettere in ordine sia se stesso che le proprie relazioni col mondo. Se si riconosce che, nell’essenziale, il concetto di “cultura” formulato in termini così prudenti è esatto, si verrà ad una importante conseguenza. L’uomo è un essere storico. Sia la sua struttura interiore che i suoi rapporti col mondo risentono del flusso dei mutamenti derivante dal continuo trasformarsi delle situazioni storiche. Così nel caso che in una data fase dell’evoluzione storica si verifichi una profonda trasformazione delle situazioni interne ed esterne, nel caso, soprattutto, che nella cerchia di ciò che ci è familiare ed è tradizionale entri un potere spirituale in precedenza sconosciuto, si avrà. come conseguenza inevitabile, che l’ordine che fino ad allora aveva retto l’esistenza nella sua totalità e che aveva determinato le varie funzioni in essa comprese verrà messo in discussione. È infatti impossibile che il nuovo possa trovare un suo posto nell’insieme della vita prima che i poteri già insediatisi e riconosciuti entrino in un certo rapporto con esso e limitino le proprie pretese riconoscendo il suo diritto di esistere.
Un problema di cultura
Ma il problema che in tali casi si presenta ad un’epoca è anche, e soprattutto, un problema di cultura. È infatti l’interiorità dell’uomo, responsabile della vita, a costituire il teatro del conflitto fra il vecchio e il nuovo che così si accende. È lui, l’uomo, che in ultima analisi dovrà decidere ponendo dei limiti alle esigenze contrastanti. E il rapporto che egli stabilità fra le varie potenze della vita sarà anche determinante per la figura della cultura che la sua umanità assumerà. Per un’epoca, è un problema che investe il suo destino quello della misura in cui l’uomo che ad essa appartiene può riuscire ad inserire nel contesto della propria “cultura” il nuovo che urge senza provocare dissidi tali da logorare le energie e senza esser trattenuto da esitazioni funeste. Nell’eventualità e nella misura in cui tale inserimento fallisce, ne soffrirà la “cultura” della generazione vivente in quell’epoca. Infatti, si avrà allora un’aperta contraddizione fra le condizioni effettive di vita create dall’irrompere del nuovo e la pretesa cultura, che crede di potersi conservare immutata ostentando un disprezzo per l’intruso (confronta: T. Litt).
A cosa serve l’Umanesimo
L’umanesimo non è morto, esse è dentro di noi, quando, nonostante le enormi difficoltà che si incontrano e le smentite che ci vengono dall’efferatezza e dagli esiti di spietati esperimenti bellici e di lotte bestiali, cerchiamo un filo che ci guidi nel labirinto che ci unisca agli altri uomini, quando studiamo l’ipotesi di valori creati dall’uomo per l’uomo. Certamente, i progetti degli umanisti del Quattrocento o del Cinquecento non possono più proporsi come attuali; essi rispondevano agli interrogativi inquietanti di quel tempo, ma non possono più rappresentare per nessuno un ideale, perché gli ideali non si identificano mai con dei prodotti prefabbricati, con i problemi già risolti dal passato. Innanzitutto, l’umanesimo può e deve trasformarsi in strumento critico per la formazione della coscienza dell’uomo, che oggi deve reagire contro la grave minaccia della moderna civiltà totalitaria, che cerca di rendere l’individuo un semplice automa, un consumatore, un piccolo pezzo dell’enorme macchinario sociale destinato a produrre e consumare in maniera sempre più ampia e perfetta. All’interno di una tale tendenza, sia su un piano scolastico sia attraverso le informazioni e il continuo bombardamento dei suggerimenti dei mass-media, si insinua nella mente dei giovani l’idea della necessità che l’istruzione deve fornire soltanto l’informazione essenziale per l’efficienza tecnica. Per reagire contro questa pianificazione industriale, contro il tentativo di meccanizzare l’uomo, di addestrarlo professionalmente, togliendogli ogni potere decisionale, non basta protestare con manifestazioni epidermiche, ma occorre avere il senso della libertà e della responsabilità, sapendo su quale terreno storico ci siamo fatti, qual è il nostro passato, insieme con chi e per che cosa ci dobbiamo battere, qual è la nostra cultura di oggi.